Che tempo faceva

Che tempo faceva

Bernacca, il colonnello che ci fece vedere il cielo

3 minuti di lettura

Aveva la testa fra le nuvole, ma con l’autorizzazione dei supremi comandi militari. Per quarant’anni, il colonnello dell’Aeronautica Edmondo Bernacca ha combattuto la sua battaglia incruenta contro le perturbazioni e i rovesci a carattere temporalesco dalla trincea a lungo monocroma degli schermi Rai. Prima in divisa, poi come civile, giornalista iscritto all’ordine.
Giornalista: era orgoglioso di questa qualifica. Non si considerava un tecnico. Le previsioni del tempo non erano, per lui, un bollettino di numeri. Erano informazione. Pubblica. Utile. Non possiamo neutralizzare il maltempo, diceva, ma prevedendolo possiamo limitarne i danni.
Io ci sono cresciuto, con il colonnello Bernacca (l’unico militare che mi sia mai stato simpatico, a me antimilitarista) che mi parlava dal trespolo della tivù in cucina. Mi sembra di sentire ancora il cicalino della sigla di Che tempo fa con il suo garrulo xilofono, tiiruriruriruuuu…, e l’immagine del barometro, con quelle scritte un po’ minacciose a caratteri gotici, “sereno”, “pioggia”, “tempesta”, “secco”, trasmessa in diretta ogni sera.


L’immagine. Perché vi parlo di Bernacca nel mio spazio dedicato alla fotografia? Perché fece una cosa importante e intelligente. Ci fece vedere il tempo. Il tempo meteorologico, si capisce. Ma un po’ anche quello cronologico, perché dopo tutto era dell’alternarsi delle stagioni che ci parlava. Per esempio quando, con un po’ di compunta costernazione, ci annunciava che “con l’arrivo di questa nuova perturbazione daremo definitivamente addio all’estate”…
Le sue parole, scientificamente ineccepibili ma comprensibili a tutti, erano importanti, certo. Insegnarono a milioni di italiani i rudimenti della scienza dell’atmosfera. Ma Bernacca parlava alla televisione, e sarebbe stato uno spreco di risorse se la telecamera si fosse limitata a inquadrare quella sua bella faccia mite e amichevole. Non c’erano molti effetti speciali all’epoca, ma usò tutto quello che aveva. Dietro le spalle, quella grande carta geografica con le onde disegnate sopra, irte di semicerchi o di triangolini come filo spinato, e tutti capivamo: fronte freddo, fronte caldo, mentre lui spiegava, spiegava come un maestro (sì, mi ha fatto venire sempre in mente quell’altro pioniere della televisione paleo-tecnologica, il maestro Manzi…), con la penna in mano a indicare, a muovere quei grafici che non si muovevano ancora.
Edmondo Bernacca ci ha lasciato trent’anni fa. Tempo sufficiente a farlo ignorare da una o due generazioni. Ma non dalla nipotina Fulvia, “cresciuta a pane e nuvole”. Che ha cercato nei cassetti del nonno, e ha trovato.

“Il progetto è iniziato quando, immergendomi nel suo archivio, ho trovato, tra fotografie e carte meteorologiche, la sua lettera di commiato, in cui ripercorre l’ultimo viaggio dagli studi della Rai a casa, e insieme le tappe fondamentali della sua vita privata e professionale. Le sue parole così, sono diventate la traccia del mio progetto, in cui lavorando sulla memoria, personale e collettiva, attraverso ricordi e immaginazione, unendo fotografie e nuvole, ho costruito con lui una nuova connessione.”

Il progetto è diventato un libriccino, Sereno, del formato di un quadernino da tasca, delizioso e leggero come una nuvola, e pieno di nuvole fotografate, di fotografie pubbliche e private, di pagine scritte, a volte stampate su carta diafana come la nebbia in Val Padana. È un libro di un genere tutto suo, non biografico, non documentario, neppure fotografico in senso stretto….
Nel giorno del suo commiato dai telespettatori, dopo quarant’anni, Bernacca cullava dunque, guidando piano sulla via Olimpica, la sua malinconia, invaso dai ricordi di quando, giovane militare appassionato di millibar nell’Italia appena uscita da ben altre guerre, scrisse quasi per divertimento un paio di articoli a tema meteorologico per Il Tirreno, quotidiano di Livorno. Il cui direttore li apprezzò tanto da proporgli una rubrica. Poi lo volle anche Il Tempo. E infine, nel 1955, quando un febbraio tempestoso sferzava la penisola, la Rai neonata chiese l’intervista a un esperto, e l’Aeronautica mandò lui. Dopo, fu tutta discesa (di pressione atmosferica…).

Dopo tutto, quella divisa non era aggressiva, era rassicurante. Evocava battaglie, sì, ma di masse d’aria, alla sommità dell’atmosfera. Il tono della voce, quello di un papà tranquillo e bonario, sicuro anche quando diceva “servizio meteorologico dell’aeronautica”, pronunciando nell’ordine giusto quello scioglilingua di vocali.
I ricordi sono leggeri come cumulonembi, le nostalgie come cirri. Ma c’è una cosa che resta, ed è, dicevo, quel primo, artigianale ma sapiente esperimento di resa visuale di proposizioni scientifiche da popolarizzare nel medium di massa dell’Italia speranzosa nel benessere. Prevedere il tempo, in quegli anni, aveva anche un altro significato: la speranza di una vita migliore, di un sereno futuro, di orizzonti senza tempeste per i figli e i nipoti, dopo una guerra atroce. Un militare che annuncia il bel tempo, e che poi si presenta in borghese: che involontaria, potente metafora. Nel libriccino, le fotografie che Fulvia Bernacca, che è anche una fotografa e un’artista visuale, ha trovato dell’album privato di “nonno Mondo” ce lo mostrano mentre fa a palle di neve, o campeggia sotto una tenda, o bambino in una campagna al tramonto. Il libro parla del tempo del cielo e del tempo della vita. La fotografia è quello strumento che dopo tutto ci ha permesso di preservare dei frammenti di entrambi.
Edmondo Bernacca lasciò la divisa per gli abiti civili, diventando collaboratore fisso della Rai, nel settembre del 1966. Due mesi dopo gli toccò spiegare le origini del disastro della grande alluvione che affogò l’Italia e Firenze in particolare. Evento calamitoso, eccezionale.
Le alluvioni disastrose punteggiano le cronache dei nostri anni di catastrofe climatica. La parabola del meteo ha curiosamente inseguito quella dell’economia: dalla speranza alla crisi, dal bel tempo alle celle d’uragano.
Oggi anche le previsioni del tempo, una delle cose che più la gente cerca su Internet dopo i video porno, sono diventate aggressive. Il loro linguaggio è sempre alterato, ansiogeno: ondata di afa africana, crollo delle temperature, violenti temporali in arrivo… Forse anche fra i siti web di meteorologia c’è una concorrenza che spinge a urlare.
E le immagini meteorologiche si sono fatte anch’esse più aggressive, spettacolari: visioni dal satellite, rendering, webcam, simulazioni… Ma il colonnello a riposo Edmondo Bernacca non vide questo impazzimento. Ogni mattina, appena alzato, apriva la finestra e guardava il cielo, interrogandolo con gli occhi.
Bell’esempio. Anche noi, soffocati dall’imperativo di guardare migliaia di immagini del mondo, dovremmo ogni tanto alzare gli occhi dal display e guardare il mondo com’è.

Il libro

Fulvia Bernacca, Sereno. Forward edizioni

I commenti dei lettori